Titolo: TERRA DEI FUOCHI E MERCATO DEI PRODOTTI AGRICOLI CAMPANI. PROPOSTA DI MODIFICA DLL’ART. 3 DEL D.L. 136/2013

TERRA DEI FUOCHI E MERCATO DEI PRODOTTI AGRICOLI CAMPANI. PROPOSTA DI MODIFICA DLL’ART. 3 DEL D.L. 136/2013 (Bozza non corretta) Premessa L’emergenza ambientale nella Terra dei Fuochi ha provocato un effetto psicosi nella vendita dei prodotti tipici, dalla mozzarella di Bufala Dop all’ortofrutta, crollate nell’ultimo mese del 35-40%. Lo dice la Cia-Confederazione italiana agricoltori, sottolineando che nonostante le rassicurazioni di istituzioni e associazioni di categoria, i consumatori continuano a identificare la Campania con quella limitata porzione di territorio regionale devastato da roghi e veleni. L‘effetto-fuga dai prodotti campani può diventare pericoloso per l’economia e l’occupazione, visto che si tratta della terza regione in Italia per produzione agricola con oltre 136 mila aziende e 65 mila addetti. Le aziende agricole del casertano e del napoletano si vedono rifiutare i loro prodotti presso il mercato di Fondi, fra i più importanti del Paese, mentre grandi aziende alimentari come la Findus ha individuato nella vasta area ricompresa fra Mondragone, Caserta, Nola, Palma Campana, Napoli, nord Pozzuoli “l’area ad alto rischio in cui non è permessa la coltivazione Findus”. In questo quadro di autentico allarme sociale, molti produttori si sono organizzati in tutti i modi possibili anche in piena violazione delle norme sulla tracciabilità e molti commercianti si stanno arricchendo alle spalle degli imprenditori agricoli, sottopagando produzioni di qualità come le patate di Acerra o le carote di Cancello Scalo, ecc. Lo smarrimento e la confusione generatesi, mentre hanno creato un’autentica apprensione nei consumatori campani, sta alimentando l’interessata strategia di quanti stanno puntando a distruggere l’agricoltura del casertano e del napoletano a tutto vantaggio del cosiddetto no food per la realizzazione di impianti a biomasse. Già la patata di Avezzano e i suoi territori di eccellenza produttiva sono state in gran parte sostituite dal no food e ben 5 impianti sono stati già realizzati da quelle parti. Il sostegno di certa stampa e televisioni commerciali (es. La 7) alle generiche dichiarazioni dell’ex camorrista Carmine Schiavone che ne hanno fatto scoop di notizie peraltro già conosciute e le manifestazioni senza memoria del movimento Terra dei Fuochi retti da sacerdoti ascesi alla notorietà, hanno generato una situazione non sostenibile sul piano sociale ed economico. Oggi si celebrano, come profeti, assassini conclamati e anche preti, sostenuti da una certa Chiesa, dimenticando (volutamente) servitori dello stato e della chiesa che ben prima, negli anni 94/99, hanno metodicamente denunciato tale situazione, con effetti di veder cestinate le denunce e pagando in prima persona - vedi rimozione di prefetti coraggiosi e rimozione o invito al silenzio o prepensionamento di preti (Don Aniello Tortora zona nolana) e vescovi (zona nolana Beniamino Di Palma e casertana Riboldi e Nogaro). Le responsabilità della classe politica campana Vale la pena ricordare che a fronte della secretazione delle dichiarazioni di Schiavone da parte della Commissione Parlamentare sui rifiuti nel 1997 (era in corso l’indagine della Magistratura) il carteggio veniva in ogni caso puntualmente trasmesso ai dieci governi, ai cinque parlamenti, ai cinque sindaci di Napoli e ai quattro governatori regionali eletti nel frattempo. Tutti sapevano e niente hanno fatto. Oggi si stanno raccogliendo i frutti (ancor più) avvelenati, a causa di politici (nazionali e locali) portatori di biechi interessi e della colpevole inerzia di una stampa irresponsabile e di una insufficiente società civile dove le vittime sono i veri produttori agricoli e il territorio campano, a tutto vantaggio di quelle forze che non speravano più ( nel tempo sono stati fatti numerosi tentativi – secondo uno studio regionale la Campania produrrebbe più biomasse della Foresta Nera) di riproporre nell’area più fertile del Pianeta il no food come la “necessaria” alternativa al disastro dei veleni dei rifiuti. Disastro che, come detto vede complici politici, colletti bianchi e certi gruppi imprenditoriali che vogliono fare di Campania Felix il cuore del no food italiano. Alcuni dati sulla Terra dei Fuochi Circa i suoli inquinati, appare del tutto evidente, dai dati sotto riportati, come vi sia una grande confusione “sotto le stelle” e nel “Palazzo”. 1. L’ARPAC indica in 300 Ha i terreni inquinati in 2001 siti; 2. I Vigili del Fuoco hanno individuato dal gennaio 2012 al 31 agosto 2013: 6.034 roghi: di cui 3.049 in provincia di Napoli e 2.085 in quella di Caserta; 3. Per la Regione Campania: da monitorare e controllare, l'1% dell'intero territorio regionale; 4. Legambiente ha rilevato che in 22 anni: a. Sono stati smaltiti illegalmente oltre 10 milioni di tonnellate di rifiuti di ogni genere; b. Sono state presentate solo 1806 denunce; c. Sono state censite (dal 1991 al 2013) 82 inchieste per traffico di rifiuti e coinvolte 443 aziende. Esistono, inoltre, dati del Commissario per le bonifiche, delle Procure, della DDA, delle Università, dell’I.S.S., di alcuni comuni, delle ASL, di alcune Province, dei militari USA. La Facoltà di Agraria ha rilevato, infine, che i suoli inquinati sono solamente 1000 ettari circa. Tali informazioni possono considerarsi un importante punto di partenza per facilitare la costruzione di una mappatura a livello territoriale. In altre parole nessuno allo stato è in grado di dire quali e quanti siano i suoli e le falde inquinate. Non esiste né una mappatura validata né, purtroppo, nessuna autorità regionale o governativa pare, si sia posto il problema di raccogliere le indagini sui suoli o sulle falde che a vario titolo (Magistratura, Università, G.T.D., Prefetto delegato, ARPAC, ecc.) hanno effettuato in questi anni. Mentre siamo certi di sapere, come abbiamo visto in precedenza, quali e quanti sono i suoli agrari in Campania e nella Terra dei Fuochi in particolare e cosa e quanto si produce, esiste, invece, da una parte, un allarme diffuso e giustificato dalle conseguenze (nefaste) per una carenza (assenza voluta?) di intervento sul controllo del territorio e di prevenzione sulla salute pubblica e, dall’altra, un ragionato, preordinato e strumentale allarmismo (cassa di risonanza per interessi precisi e collusivi) che porta la gente a volere a tutti i costi e subito le bonifiche. Tutto ciò indipendentemente dalla conoscenza dei problemi e da una strategia generale per risolverli e dal fatto che si stanno propagandando interventi (o solo progetti) di messa in sicurezza per bonifiche. Così come fa il Presidente della Regione, Caldoro il quale afferma che “la parte malata del territorio è l'1% . Le aree inquinate sono già circoscritte”, per contraddirsi subito dopo dichiarando che “non vuol dire che non c'è il rischio, ma si sta lavorando, con il ministero dell'Ambiente, attraverso il monitoraggio satellitare per verificare la mappatura di tutta la Campania” ( lo stesso Ministero che ha derubricato le SIN a SIR); lo stesso responsabile politico della Regione chiarisce il suo pensiero con la grave affermazione: “Serviranno ottanta anni circa per bonificare i territori dell’area nord di Napoli. Per l’inquinamento dell’area la bonifica non sarà completa prima del 2050 e, per quanto riguarda il percolato, senza avviare gli interventi, dovremmo aspettare fino al 2080” (riprendendo affermazioni di un geologo, talmente incompetente e in malafede, da spostare un disastro avvenuto – percolato nella fase virulenta già in falda dagli anni 80/2000 – in un futuro disastro, valutato fra 50 anni prossimo futuro, per l’ennesimo balletto di pseudo progetti e pseudo bonifiche) . Cos’è il solito furbesco atteggiamento da meridionale straccione e piagnucoloso per ottenere più denari da Roma?, supportato da tecnici in cerca di notorietà e incarichi?. A chi giova tutto questo? Ai soliti noti, incollati alle poltrone. E’ necessario, invece, bloccare i fuochi con un puntuale e coordinato controllo del territorio; far confluire presso un’unica autorità pubblica tutte le informazioni circa indagini o analisi già effettuate per individuare aree inquinate; avviare una seria mappatura dei suoli inquinati e delle falde compromesse, risarcire quegli agricoltori vittime dell’avvelenamento delle matrici ambientali; effettuare la caratterizzazione; procedere infine alle bonifiche privilegiando il fitorimedio e altre tecniche naturali. Ciò per non alimentare interessi contrapposti, legittimando peraltro chi vuol distruggere l’economia agricola di due province e l’immagine di un’intera regione. Il no food una falsa soluzione e un pericolo reale E’ il caso di sottolineare che la sola provincia di Caserta produce il 36% in più dell’energia di cui ha bisogno e che la realizzazione di un impianto a biomasse, potenzialità 1MW - taglia minima per poter sostenersi sul piano economico, fagociterebbe almeno 300 ettari di suolo agrario le cui produzioni sarebbero destinate ad essere bruciate per produrre energia (con enorme dispendio di energia – da un lato si distruggerebbero prodotti e dall’altro si consumerebbe molta più energia per riottenerli). Posto che i suoli inquinati sono circa 1000 ettari, come sarebbe stato rilevato dalla Facoltà di Agraria dell’Università Federico II, si potrebbe alimentare una centrale di poco più di 3MW. Su questo punto si pongono due questioni. Sapendo che con il fitorimedio, ossia la tecnologia che attraverso l’utilizzazione di specifiche piante permette di disinquinare i suoli in tempi abbastanza ragionevoli (dai 4 ai 7 anni) e ammettendo pure, ma non è così, che un impianto a biomassa non produca direttamente delle problematiche, si porrebbe la questione di come alimentare l’impianto, la cui vita media è data a venti anni, dopo che i suoli sono stati liberati dagli inquinanti e ridestinati alla produzione di cibo che i suoli delle zone interessate all’inquinamento devono essere, per qualità e reddito, restituiti all’agricoltura. Non c’è paragone fra la coltivazione del pomodoro ma anche del tabacco o di ortaggi e la produzione, ad esempio della canapa (Cannabis sativa), che è pure doppiamente importante quale disinquinante (Cd, Cr, Ni, PCB, Radiocesio) e per la produzione di fibre che potrebbero sostituire, almeno nell’80% dei casi, le plastiche, se non si interviene con un appropriato sostegno economico agli agricoltori. Sappiamo pure che la canapa però, non disinquina gli oli minerali o lo zinco o il Pb per i quali occorre, ad esempio il Salice (Salix viminalis) che è di scarso valore commerciale e buono per la produzione dei vimini utilizzati per realizzare panieri, stuoie e oggetti vari. Il fitorimedio va dunque considerato per quello che è: un intervento di sanificazione ambientale ma con scarse aspettative economiche visto la inevitabile frammentarietà degli interventi. La seconda questione fa riferimento direttamente alla tecnologia. Gli scarti per alimentare gli impianti rappresentano una fonte di approvvigionamento aleatoria e i costi di trasporto limitano a un raggio di 15 km la loro provenienza. Richiedono spazi per lo stoccaggio e accorgimenti per la loro conservazione. Vi è poi il concreto rischio che al posto di materie di scarto siano impiegati in modo poco corretto rifiuti più o meno mascherati o, peggio, prodotti alimentari mentre nel mondo si muore d’inedia. Quanto al liquame, altro possibile materiale, esso ha una resa molto bassa, una composizione variabile che non facilita l'impiego nei digestori. Per alimentare un impianto da 3MW (che è piuttosto grande) servirebbero i liquami di migliaia di capi di bestiame. Non parliamo del siero e di altri 'rifiuti speciali' agroalimentari che sono ancora più difficili da gestire degli 'effluenti zootecnici'. Per questi impianti, primo fra tutti, c'è il problema che per alimentare una centrale da 3MW occorrerebbe coltivare, in seguito, un terreno di circa 1000 ha, che verrebbe così sottratto alla produzione di derrate alimentari per l'alimentazione umana o animale. Terra dei Fuochi: la questione centrale sono i suoli inquinati da mappare Appare del tutto evidente che per ridare serenità ai consumatori, prospettiva ai produttori agricoli e tranquillità ai mercati è necessario che tutti sappiano che sono stati individuati, isolati e neutralizzati (ossia che non possono produrre cibo) i suoli agrari inquinati. La bonifica è l’azione conseguenziale all’individuazione e caratterizzazione di detti suoli. L’art.3 (Interventi urgenti per garantire la sicurezza agroalimentare in Campania) fra direttiva per le indagini tecniche per la mappatura, dei Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali e dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e della salute, d’intesa con il Presidente della Regione Campania (entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto) detta i seguenti tempi: - novanta giorni per presentare una relazione con i risultati delle indagini svolte e delle metodologie usate, nonché sui possibili interventi di bonifica, relativi ai terreni indicati come prioritari dalla direttiva ministeriale; - centottanta giorni per altra relazione sui restanti terreni indicati come non prioritari. - entro altri trenta giorni, con distinti decreti interministeriali dei Ministri delle politiche agricole e dell’ambiente, sono indicati i terreni della regione Campania che non possono essere destinati alla produzione agroalimentare ma esclusivamente a colture diverse. - infine con decreti interministeriali dei Ministri delle politiche agricole dell’Ambiente può essere disposta, su istanza dei soggetti interessati, la revoca dell’inclusione dei terreni di cui al precedente periodo qualora sia dimostrato il venire meno dei presupposti per tale inclusione. In totale non meno di 210 giorni, 7 mesi, ammesso che tutti funzioni come purtroppo non appare. La norma non tiene in nessun conto la situazione reale e il peso che il settore e le aree interessate hanno nell’economia regionale quale fonte primaria di risorse agro alimentari, reddituali e occupazionali. I tempi sono incompatibili con le esigenze di mercato e di garanzia verso i consumatori. Nulla viene stabilito circa il risarcimento alle aziende agricole, vittime di una situazione di disastro ambientale ed economico attribuibile alla camorra come allo Stato (camorra/stato/colletti bianchi locali) e a una classe politica finora inerte (oltre che collusa, ignorante, egoista e dilettante) pur sapendo da anni la situazione del territorio di alcune aree delle province di Napoli e Caserta. Il decreto, inoltre, non tiene conto di quanto, a vario livello e scopo, hanno già fatto in termini di rilevamenti e analisi altre autorità scientifiche come anche settori della Magistratura. Non è pensabile una mappatura di un territorio senza che vi sia un’unica autorità preposta al coordinamento e alla definizione di tempi e modalità e che raccolga a sé quanto da altri già rilevato. Non è possibile accettare quella scansione di tempi poiché segnerebbe un punto di non ritorno del settore e l’imbarbarimento, con comportamenti forse anche illegali, di quanti si vedranno costretti in qualche modo alla mera sopravvivenza. Conclusioni Per i motivi sopra esposti è necessario quanto urgente una profonda modifica dell’art.3 del D.L. 136/2013 che vada nella seguente direzione: 1) Affidare ad un’unica autorità scientifica centrale (anche internazionale-extraeuropea) il coordinamento e la stesura della mappa del territorio interessato agli inquinamenti del suolo e delle falde acquifere; 2) Far confluire ogni e qualunque informazione su precedenti rilievi o indagini effettuate da altre autorità scientifiche anche per conto della Magistratura, al fine di abbandonare pseudo ripetitivi progetti ed eseguire o completare interventi efficaci; 3) Con il concorso anche di laureandi in agraria, biologia, geologia, ingegneria chimica e sanitaria segnalati dalle rispettive facoltà delle Università campane, dalle associazioni di volontariato a partire dalle associazioni ambientaliste, e coordinati dall’autorità scientifica in parola, utilizzare anche il predetto personale per effettuare i prelievi dei suoli anche per eventuali ulteriori analisi, semmai di dettaglio; 4) L’autorità di cui al punto 1 individuerà ed elaborerà ogni e qualunque direttiva utile affinché entro 30-45 giorni sia effettuata la mappatura dei suoli e la indicazioni di quelli cui non sarà consentito l’attività di produzione di cibo nonché la destinazione di questi per la bonifica con il fitorimedio o interventi analoghi, naturali. 5) Le aziende i cui suoli (o parte di essi) sono risultati inquinati e quindi verranno interessati per un tempo determinato stabilito dall’autorità, ai sensi del punto 1, sulla base di specifici decreti saranno risarciti per le perdite economiche subite fatte salve eventuali responsabilità ove si rilevasse presenza diretta sui suoli o nei suoli di rifiuti illecitamente sversati. 6) I suoli bonificati e rinaturalizzati, riportati alla loro vocazione originaria, avranno diritto, ai sensi delle direttive europee vigenti, previa validazione e certificazione di qualità, a contributi fino a 450/500 €/ettaro/anno per dieci anni.