Titolo: FERRANDELLE E RIFIUTI: LO STATO E L’ALTRO STATO CONTRO LA POPOLAZIONE CAMPANA 05 dicembre 2012

FERRANDELLE E RIFIUTI: LO STATO E L’ALTRO STATO CONTRO LA POPOLAZIONE CAMPANA Per capire bene la vicenda Ferrandelle occorre ricordare la questione più complessa e intrigante della SME e di quello che, a cascata, ha interessato negli anni 90 (in coincidenza praticamente con la dichiarazione di emergenza rifiuti del febbraio 1994) lo smembramento della società pubblica, della svendita del gruppo agroalimentare più importante e attivo (anche finanziariamente parlando) del Paese che avrebbe potuto certamente competere a livello internazionale (oggi solo il gruppo Coop è piazzato al 53° posto nella graduatoria mondiale delle multinazionali nell'agroalimentare). L’agricoltura di Terra di Lavoro ha sempre costituito l’identità del territorio e l’unica leva che ha prodotto ricchezza sostenibile anche da un punto di vista ambientale oltre che economico e finanziario. Con il fallimento della Cirio (primi anni 90) e il passaggio di mano all'industriale Dante Passarelli, ritenuto dalla magistratura organico al clan camorristico dei casalesi, nel 2004 l'impresa fu messa sotto sequestro. Poi dissequestrata per la morte dell'imprenditore, passò nelle mani dei suoi eredi e oggi è nuovamente sotto sequestro in quanto i magistrati ipotizzano sia stata a suo tempo acquisita con denaro di provenienza illecita. Nel 2008 in località Ferrandelle è stata realizzata dal Commissariato di Governo, ma con l'opposizione della popolazione e anche dell'amministrazione un sito provvisorio da oltre 500.000 tonnellate di rifiuti. L'area, estesa circa 60 ettari, era stata in gran parte confiscata qualche anno prima a Sandokan (Francesco Schiavone) ed era stata destinata in parte ad ospitare la Fattoria della legalità proposta dal Consorzio di comuni Agrorinasce. Nello sconvolgimento generale del territorio, non lontano dal sito fu pure programmato un inceneritore, la cui realizzazione venne bloccata in seguito ad un'indagine della magistratura su una presunta ingerenza della camorra e oggi, a brevissima distanza l’uno dall'altro e che interessa tre comuni (Casal di Principe, Santa Maria La Fossa e San Tammaro), è stato realizzato una sorta di polo della morte con diverse decine di milioni di tonnellate di rifiuti nel cuore della produzione della mozzarella di bufala campana. Stesso discorso ha fatto la camorra su tutto il territorio casertano attraverso lo sversamento illecito di milioni di tonnellate di rifiuti provenienti dalle industrie del Nord del Paese e di quelle regionali, generando un danno diffuso e spesso irrecuperabile. La popolazione casertana si è dovuta, dunque, difendere contro lo Stato (a Lo Uttaro a Caserta, al Foro Boario a Maddaloni, a Ferrandelle a Santa Maria La Fossa, ecc.) e contro l'altro Stato (a Marcianise, a Trentola Dugenta, a Casaluce, ecc. Questo deve essere chiaro. Il risultato presenta vari aspetti univoci e gravissimi: inquinamenti diffusi delle matrici ambientali; prodotti agricoli largamente inquinati da un ambiente degradato e dalle falde acquifere inquinate; perdita secca di ricchezza, di occupazione e di prospettiva; nessuna proposta di recupero e di rilancio del settore agro-zootecnico l'unico (insieme al comparto "cultura") che potrebbe offrire un futuro ad un territorio vocato come quello casertano, malattie diffuse che hanno limitato la stessa aspettativa di vita. Ancora una volta, grazie all'impegno della sia pur debole società civile rappresentata in ogni comunità da piccoli gruppi di cittadini, spesso derisi e isolati e grazie alla tenacia di una parte significativa della Magistratura è stato possibile frenare le scelte di uno Stato e di una Camorra che hanno fatto del nostro territorio un deserto. Parte dei responsabili della vicenda Ferrandelle sono in galera e in attesa di un processo. Anche parte dei camorristi che hanno inquinato le nostre vite sono in galera e in attesa di un processo. Sembra un discorso senza speranza; ma non è ad essa che ci dobbiamo aggrappare. “Mi pare più grave che non esista il conflitto, perché significa che i gruppi sociali non hanno capacità di analisi, né profondità. Amico mio, siamo ancora parecchio immersi nell’agio” come ha affermato di recente Giuseppe De Rita del Censis.