Titolo: È tempo che l’Italia prenda sul serio i paesi più che i paesani.

Gli analfabeti delle vacanze di Franco Armino L’Italia in vacanza non è un’Italia felice. Una nazione smarrita porta il suo smarrimento al mare e ai monti. L’infelicità trasloca, semplicemente. Il bordo balneare della penisola in questi giorni è pieno di persone ed è pieno l’arco sassoso delle Alpi che ci divide dall’Europa, è piena la spina dorsale dell’Appennino, che ci permette di stare in mezzo al Mediterraneo senza affondare. È proprio nel Mediterraneo interiore che l’Italia potrebbe ritrovare se stessa, potrebbe farlo a partire dalle sue vacanze. In questi giorni anche i paesi più sperduti e affranti sono pieni di gente, ma sono visite brevi e tutte concentrate in un paio di settimane intorno a Ferragosto. Ancora a luglio in questi paesi non c’era nessuno. Uno spreco di bellezza e luce. E poi fra poco riparte il treno della desolazione, nei paesi che hanno più case che abitanti continuerà a splendere il sole, ma il teatrino della vacanze sarà finito, i paesi torneranno alla loro funzione di musei delle porte chiuse. L’ITALIA ha una grande cassaforte piena di tesori nel suo Appennino, ma è come se non conoscesse la combinazione. Ogni anno si limita a scassinarla per pochi giorni, poi il filo della vita torna ad aggrovigliarsi nelle sempre più imbrattate pianure. La pianura padana ormai è tutta un’azienda con delle case dentro. E queste aziende sono falcidiate dalle peste della crisi. Bisogna opporre il turismo della clemenza al turismo egocentrico della balneazione. Molte spiagge in questi giorni esibiscono l’autismo corale della vita ordinaria. D’inverno si guarda la televisione con la propria famiglia, d’estate ci si stende al sole con la propria famiglia. Il sole è meglio del tubo catodico, ma la postura è la stessa, si sta seduti, si sta chiusi nel cerchio delle proprie abitudini, delle proprie paure. Il turismo della clemenza è quello di chi va nei paesi non per sostituire l’eccezionale all’ordinario, ma per stare in un’infiammazione più lieve rispetto a quella che ci forniscono i luoghi di residenza. Il turismo della clemenza è anche quello delle scuole di paesologia che da qualche tempo vado organizzando lungo l’Appennino. Le persone che frequentano queste scuole fanno turismo e cultura e fanno comunità provvisorie e forse anche politica. È tempo che l’Italia prenda sul serio i paesi più che i paesani. L’Italia deve capire che c’è una grande forza in quei luoghi e che se fossero abitati senza grettezza e provincialismo sarebbero un patrimonio unico al mondo. Non abbiamo solo le città d’arte, abbiamo migliaia di paesi, uno diverso dall’altro, e sono luoghi che hanno ancora un’impronta forte, luoghi in cui si possono costruire nuovi modi di stare al mondo e anche di fare vacanza. I PAESI estivi dovrebbero essere i luoghi di una nuova alfabetizzazione rurale, per esempio. Meglio andare in un paese lucano e imparare a potare un albero e a fare un caciocavallo, piuttosto che stare in fila a Ibiza con la ciotola del divertimento tra le mani. Andare in vacanza per riattivare lo sguardo e le capacità manuali, andare in vacanza per incontrare i luoghi assieme a persone che hanno la stessa sensibilità, andare in vacanza per costruire relazioni autentiche e profonde, non per zampettare sui lidi, o nelle piazze dove gruppi musicali sfiatati amplificano il loro sfiatamento. È tempo che le amministrazioni comunali usino la crisi per fare una scelta netta: nessuna proposta di intrattenimento. Le sagre e i concertini li organizzino i privati. All’ente pubblico compete costruire situazioni in cui le persone facciano, se vogliono, esperienza di crescita e democratica. Andare in vacanza sapendo che lavorare è meno noioso che divertirsi, come diceva Baudelaire. Nei paesi del nostro Appennino si può svolgere un nuovo lavoro, si può diventare apprendisti del nuovo umanesimo delle montagne. La crisi del modello capitalista non si risolve guardando indietro a quello che c’era prima del capitalismo, tra l’altro bisognerebbe andare molto indietro, ma si risolve, forse, costruendo nuove percezioni di noi stessi e dei luoghi. E questo è un lavoro che nelle vacanze è più facile fare, perché abbiamo più tempo per farlo. Poi, una volta segnata una certa strada, il lavoro può continuare anche negli avelli cittadini. (Da Il Fatto Quotidiano del 18 agosto 2012)