Titolo: MACELLO COMUNALE E NUOVI RIFIUTI

Mentre continuiamo a pagare il mutuo del mattatoio comunale sono rimasti solo i muri. E’ tempo di parlare di Caserta e delle tante occasioni create e poi cancellate. E’ tempo di parlare della località Lo Uttaro e di quello che doveva essere, per chi aveva una certa visione dello sviluppo del territorio e di come è stata trasformata da chi faceva finta di avere un'altra visione dimostrando, invece, di navigare a vista e di procurare solo danni al futuro di questo disgraziato territorio. Nell’idea di pochi illuminati personaggi locali e nella capacità operativa dell’amministrazione creata da Alleanza per Caserta Nuova dal 1993 al 1997, c’era quella di fare di Lo Uttaro il nuovo centro propulsore di attività industriali legate, da una parte, al territorio e alla sua economia (leggi mattatoio comunale e foro boario) e, dall’altra, allo sviluppo, al mantenimento, ampliamento e sviluppo di attività immateriali quali l’elettronica e il software (leggi EDS). Diciamo subito, a scanso di equivoci, che questa visione non apparteneva all’allora assessore Petteruti, oggi sindaco di Caserta. I fatti successivi ne sono una prova inequivocabile. E’ tempo di parlare allora del mattatoio comunale. Con numerosi prestiti presso la Cassa Depositi e Prestiti il comune di Caserta, già nel 1991, aveva programmato la costruzione del nuovo mattatoio destinando a biblioteca comunale il vecchio macello comunale di via Laviano. Con l’amministrazione a guida del prof. Bulzoni, con precisi interventi dell’allora assessore Messina e la collaborazione di eccellenti veterinari della ASL Caserta, la struttura ebbe un nuovo impulso e una riqualificazione funzionale attraverso: la realizzazione del foro boario, un punto banca, la macellazione con il rito musulmano, impianto di depurazione, ecc. La struttura ebbe pure il riconoscimento quale impianto di macellazione a Bollo CEE. Presso tali impianti, infatti, è consentito svolgere tutte le operazioni di macellazione, senza alcun limite produttivo né commerciale. Per l'apertura di questo stabilimento fu richiesto e ottenuto il riconoscimento comunitario per impianto di macellazione, ai sensi del DL.vo 286/94, art. 13. Tradotto in parole semplici, significava che il mattatoio di Caserta era l’unico autorizzato in tutta la regione Campania a macellare gli animali, a conservare le carni nelle numerose e ampie celle frigorifere, a sviluppare una filiera in un settore assai delicato per l’alimentazione umana e un’apertura al mercato dei consumatori extracomunitari di religione musulmana che solo nella provincia di Caserta erano all’epoca almeno 10.000 persone. Caserta sarebbe diventata, inoltre, il centro della commercializzazione della zootecnica provinciale e regionale. I posti di lavoro previsti erano almeno 50 oltre l'indotto e con un giro d'affari di diverse decine di milioni di euro. La direzione dei lavori fu affidata nei vari periodi all’ing. Mennillo, all’ing. Farinaro, all’ing. De Giudice. L’appalto fu vinto dalla COGEIN dell’ing. Pagano (questo ai tempi della vecchia Democrazia Cristiana). La convenzione sottoscritta con il comune prevedeva, tra l’altro, il collaudo e la gestione obbligatoria per 24 mesi a carico del Cogein. Nel 2000 finirono i lavori e per circa due anni il mattatoio avviò l’attività produttiva. In seguito fu presentato dal consorzio il rendiconto e il bene venne ufficialmente trasferito al comune nelle mani dell’amministrazione Falco e del dirigente p.t. I beni consegnati erano: il mattatoio, con celle frigorifere, macchinari, impianti e attrezzature, impianto di depurazione, punto banca, svincolo variante ANAS per favorire la mobilità degli animali e delle merci. Progettisti e ditte di altre regioni vennero a Caserta per “copiare” il progetto del mattatoio, vero esempio di tecnologia avanzata. Nel 2002, appena dopo il trasferimento dell’opificio al comune (che nel frattempo avrebbe dovuto eseguire una gara per la gestione, un accordo con gli industriali e le organizzazioni professionali agricole, ecc.) il sindaco Falco autorizzò, invece, incredibilmente, a poche decine di metri dal mattatoio la realizzazione del sito di trasferenza, trasformatosi in breve a sito di stoccaggio dei rifiuti urbani prodotti anche nel napoletano. A questo punto, correttamente, l’autorità sanitaria dispose la chiusura del mattatoio, mentre L’EDS, una multinazionale del software (vale la pena ricordare, tra l’altro, che a Caserta si eseguiva la contabilità della Mercedes e di altre grandi industrie straniere) con oltre 500 dipendenti, quasi tutti laureati e specializzati in informatica e contabilità, protesta inutilmente contro Falco, chiude per incompatibilità ambientale e si trasferisce a Pozzuoli licenziando oltre 100 dipendenti. L’area prospiciente all’EDS, presa in affitto dal comune diventa un altro sito di stoccaggio (il famoso Panettone. Sta ancora là). Nel 2006, infine, Petteruti firma, insieme a De Franciscis un protocollo con il sig. Bertolaso per realizzare la discarica illegale e abusiva di Lo Uttaro che la magistratura, grazie all’azione della società civile e delle associazioni ambientaliste e dell’allora Vescovo Nogaro, riescono a far sequestrare e a chiudere. Il procedimento è ancora in corso. Il danno procurato da Falco e Petteruti alla nostra comunità è incalcolabile sul piano della prospettiva economica e occupazionale, mentre è calcolabilissimo il danno patrimoniale generato per effetto del furto e distruzione di un bene pubblico (che stiamo ancora pagando) del valore di oltre 5 milioni di euro. Il 6 novembre 2007 il Comitato Emergenza Rifiuti denunciò la cosa con un preciso documento al consiglio comunale di Caserta. Non è successo nulla. Nulla. Ma la cosa non può finire così e non è accettabile la proposta dell’assessore all’ambiente Mastelloni che vorrebbe allocare nei locali del mattatoio un impianto di compostaggio, indipendentemente dalla programmazione regionale e dalla dotazione degli impianti esistenti (vedi ex CDR di Santa Maria Capua Vetere e San Tammaro entrambi sufficienti alla bisogna). Ognuno per sé anziché sviluppare una proposta comune e una politica ambientale degna di questo nome. Sopra il mattatoio rifiuti, come sopra i rifiuti di Lo Uttaro altri rifiuti per nascondere il passato illecito. Stessa logica, stesso comportamento anche se, forse, in questo caso c’è buona fede. Ci aspettiamo, invece, che il mattatoio sia recuperato e restituito all’agricoltura e al territorio. Pensiamo che si debba avviare una grande riflessione e un confronto pubblico sul comparto agricolo e zootecnico di questa provincia, il cui fatturato rappresenta oltre il 60% della ricchezza della provincia. Nessuno sa cosa pensano i due maggiori schieramenti del destino dell’agricoltura di Terra di Lavoro, prima in Italia per la produzione di fragole, nettarine, mozzarella di bufala, ecc. e con i terreni più fertili al mondo, ma con un consumo del territorio spaventoso (oltre 300 mila ettari in meno di 100 anni). Ci aspettiamo che le forze dell’ordine e la magistratura ordinaria e quella contabile individuino e puniscano i responsabili di tale disastro facendogli pagare la ricostruzione del mattatoio. Ci aspettiamo che si discuta di Lo Uttaro in termini di recupero e valorizzazione di un comprensorio urbano dove esistono alberghi, abitazioni, uffici e ospedali in un disegno di civiltà e normalità in un’ipotesi di sviluppo locale sostenibile nel quale le attività produttive siano in stretto collegamento con le risorse locali esistenti. In questo senso il mattatoio comunale, il foro boario (ossia il mercato delle carni) devono diventare due punti strategici di uno sviluppo equilibrato in Terra di Lavoro.