Titolo: Petteruti & C.:un'altra occasione persa

Comitato cittadino per la Cittadinanza emerita “Civitas Casertana” al Vescovo R.Nogaro Comunicato stampa LA CITTADINANZA COMMOSSA HA SALUTATO IL VESCOVO RAFFAELE NOGARO Conferito al vescovo Nogaro la Cittadinanza emerita “Civitas Casertana”. Tanta la commozione che ha caratterizzato le testimonianze di stima e di affetto al vescovo di Caserta Raffaele Nogaro, nell’incontro tenutosi il 30 giugno nell’aula Magna della Facoltà di Scienze di via Vivaldi in occasione del convegno dal titolo: “Dallo sviluppo eco-sostenibile alla cultura dell’accoglienza e della solidarietà di Terra di Lavoro”. Gremita la sala anche se con molti assenti ingiustificati: i politici, i rappresentanti degli Enti Locali e delle Istituzioni. “Che questo presule fosse stato scomodo lo si era letto, ma che nessun rappresentante abbia voluto porgergli un grazie per il valore enorme delle sue azioni per il bene della collettività, questo è sembrato a tutti molto grave” - è quanto ha sottolineato Aldo Altieri, uno degli organizzatori dell’iniziativa. “Un uomo che si è fatto amare come uomo prima ancora che come vescovo, per la sua umiltà”, questa in sostanza la sintesi dell’intenso messaggio di benvenuto del preside Nicola Melone (che ha portato anche il saluto del magnifico rettore, assente per un precedente impegno accademico) ricordando i passaggi oramai storici della nascita dell’Università a Caserta, che, “senza il contributo del vescovo, avrebbe subito nocivi ritardi”. Tanti interventi a braccio, fatti col cuore e con il senso di appartenenza ad una Civitas cementata dalla presenza di un uomo umile, proveniente dal Friuli, che ha saputo amare Terra di Lavoro dimostrandolo nei fatti, ogni giorno con perseveranza e abnegazione. Attenzione e preoccupazione però anche per il tema trattato nel convegno che ha sottolineato, con dati alla mano, ad esempio il nesso malattia tumorale-presenza dei rifiuti dimostrato dall’O.M.S. (Organizzazione Mondiale della Sanità) nei Comuni in cui abitiamo o limitrofi alle nostre abitazioni (tra cui per citarne alcuni: Marcianise, Casagiove, Capodrise). Questo l’intervento di Giuseppe Messina che ha snocciolato i dati locali tra disastri ambientali e sviluppo sostenibile: dalla disoccupazione alla enorme presenza delle cave (si pensi che la Campania è prima in Europa come densità), dal saccheggio del territorio all’incidenza appunto dei tumori. Inoltre, per segnalare i temi ai quali dedicare attenzione e risorse da parte dei decisori politici, ha indicato i punti indispensabili da cui partire: Area verde del Macrico per il parco urbano, delocalizzazione dei cementifici Cementir e Moccia, ruolo strategico dell’agricoltura e dell’agro-industria, istituzione del Parco Urbano dei Monti Tifatini, salvaguardia dei beni monumentali, culturali e paesaggistici, cultura dell’accoglienza e del buon vivere. “Il tutto affermando uno sviluppo – ha continuato Messina – legato alle sue risorse (agricoltura, sistemazione del Volturno, manutenzione del territorio e delle coste), ma anche aderendo al Forum provinciale per l’Ambiente per una rete della società civile e attivando una scuola per l’educazione alla politica, alla legalità, alla partecipazione e all’accoglienza con l’obiettivo di formare una nuova classe dirigente nel territorio. Fabio Basile del Centro sociale ex Canapificio ha testimoniato il sostegno del presule nel lontano ‘95 per l’ottenimento di uno spazio che fungesse da luogo di aggregazione per i giovani, la grande importanza della nascita dello sportello per i rifugiati politici, la breccia aperta nel dialogo con Questura e Prefettura dopo l’occupazione del duomo da parte dei migranti, per protestare contro una legge ingiusta, la Bossi-Fini. Ha citato la parola rivoluzione guardando il vescovo ricordando i giovani di circa 15 anni fa. La presenza di tanti extracomunitari è data dall’enorme richiesta di manodopera, spesso in nero, richiesta dal settore agricolo e dall’edilizia come ampiamente dimostrano i numeri delle produzioni relative, anche se le istituzioni preposte ai controlli non sembra accorgersi di tale realtà, con la tendenza da parte della pubblica opinione a criminalizzare intere comunità per fenomeni marginali di violazione di legge. A moderare i lavori, Giuseppe Vozza capo-scout. Tantissimi gli interventi dei rappresentanti delle Associazioni socio-culturali impegnate sul territorio, di un rappresentante della stampa e di singoli cittadini. Tutti hanno voluto dire anche solo un grazie, come Pierluigi Tortora che ha letto una lettera proveniente dall’Etiopia che con deliziose parole ha portato a Nogaro i ringraziamenti delle persone ammalate di lebbra, di tubercolosi, dimostrando che la sua grandezza e la sua generosità in modo sempre riservato sono giunte sino là. Moltissimi hanno dovuto rinunciare a parlare per sentire il discorso di Nogaro. E’ apparso chiaro a tutti, quindi, che Nogaro sia stato il perno sul quale si sono poggiate gran parte delle vertenze giunti dall’Università, dal mondo del sociale e del volontariato, dall’associazionismo ambientalista, dal mondo del sindacato e del lavoro, dai bisogni delle persone svantaggiate, dalla lotta alla criminalità organizzata. Ed è il preside Nicola Melone a svelare il segreto di tale accoglienza “universale” (in sala molti si sono professati musulmani, atei, di religione Baha’i, buddisti, ebrei, ecc.) citando una frase di Nogaro nel loro primo incontro: “Cristiano non è colui che fa atto di fede, ma colui che vive con le sue azioni nella cristianità”. Tutti concordi sulla provenienza della commozione nata non tanto per la cerimonia “accademica”, ma da una sete di riscatto della civitas casertana, da un enorme desiderio di senso di identità e appartenenza, che di certo questo vescovo di frontiera e di trincea ha saputo rappresentare in questi anni in Terra di Lavoro. L’intervento conclusivo del vescovo è stato allora intonato all’atmosfera. Cita la parola rivoluzione richiamandosi al precedente intervento, con cautela, ma nessuno salta dalla seggiola perché tutti pensano che sarebbe utile per questa città un sommovimento delle coscienze (nei tempi in cui il premier lancia l’appellativo di sovversivo a chiunque lo contesti). Quindi lamenta della classe politica locale che poco o nulla ha fatto per questa città bistrattata. Racconta, poi, che forse avevano ragione i suoi amici a ricordargli che la sua promozione a vescovo fu una punizione piuttosto che un premio. Un bel giorno, infatti, a Udine aprì il Duomo ai poverissimi, alcuni “odorosi di alcol”, che sostavano per strada. Questo gesto non fu visto di buon occhio da una Chiesa più attenta alla forma che alla sostanza, più incline all’apparenza decorosa che all’accoglienza doverosa. Quindi più volte, all’età di 40 anni, prima di diventare vescovo, per questo motivo, ebbe ad essere sgridato dai suoi superiori. “Spedito”, infine, da Udine nel profondo SUD, con un treno di sola andata. Un grazie agli uomini di Chiesa che si liberarono di lui – sembrano dire in coro i casertani nell’Aula Magna, guardandolo con affetto - un uomo scomodo non appartenente al Palazzo, sì, ma solo per quella gente che vuole che nulla cambi. Parola d’ordine in sostanza – conclude il presule: “ricostruire l’identità di Terra di Lavoro e una nuova classe dirigente”.