Titolo: Civiltà contadina e ruolo della scienza

La civiltà contadina dopo 10.000 anni è morta. Charles Péguy, grande poeta francese, definì la morte della civiltà contadina l’avvenimento della storia più grande dopo la venuta di Gesù Cristo. La civiltà contadina è morta e con essa l’idea di una famiglia e anche un tipo di uomo, un’idea di lavoro, di risparmio, di gerarchia, di obbedienza. Nelle campagne ormai c’è una civiltà industriale, un’”industria senza tetto”. Con lei sono morti quei valori sui quali si è basata anche la civiltà industriale la quale ha saputo generare il consumismo quale disvalore assunto però a unico paradigma. Ma la crisi ambientale ha messo in crisi tale visone del mondo e del futuro e c’è chi propone un’agricoltura d’alta qualità su piccola scala. Il consumismo ha fallito e va rifiutato; la velocità va combattuta con la lentezza, i falsi bisogni con l’austerità, lo spreco con la preferenza al riuso. Dato che non è né pensabile né proponibile un ritorno all’indietro, visto pure che il metodo con cui la storia risolve i problemi è di presentare un altro problema, occorre con urgenza affermare un nuovo umanesimo e ricercare nuovi valori nel quadro dell’esistente crisi ambientale, energetica e finanziaria. Vi è dunque da attribuire un conseguente nuovo ruolo al mondo scientifico a partire da quella parte impegnata nella produzione di cibo e delle attività ad esso connesse. Ci sono problemi legati, da una parte, all’introduzione di nuove tecnologie in agricoltura ma, dall’altro, all’urgenza di verificare tecniche e tecnologie ambientalmente compatibili che la civiltà rurale ci ha lasciato in eredità e quanto di buono le scienze agrarie sono riuscite a dar vita in questi ultimi tre secoli. La domanda da farsi è allora: che cosa possiamo traghettare verso il futuro di quanto abbiamo ereditato ed elaborato finora per garantire uno sviluppo agricolo sostenibile, che preservi la fertilità del suolo e soddisfi i bisogni di una crescente popolazione, sapendo pure che nel giro di 40 anni il fenomeno della desertificazione ha colpito il 33% della superficie dell’Europa e il 30% dell’Italia, concentrato prevalentemente nelle regioni meridionali? Tutto ciò anche in considerazione del fatto che: la terra sembra richiamare oggi lo sfruttamento delle risorse e non piuttosto la terra intesa come valore e bene da curare e preservare; nel mondo vi sono oltre 6,5 miliardi di esseri umani e si produce cibo per 12 miliardi di persone e in cui, però, 800 milioni muoiono di fame mentre un miliardo e 700 mila soffrono di obesità e diabete. In Italia solamente, ad esempio, si buttano ogni anno oltre 4 mila tonnellate di cibo mangiabile e noi crediamo sia necessario “riconciliare il genere umano con la terra” come afferma Petrini, fondatore di Slow Food. Vi è la necessità che vi sia qualcuno che metta da parte idee per il futuro a partire da una buona pratica scientifica nel presente. Sono convinto che spetti alla Scienza, alle università in modo particolare, ragionare sul futuro, sul ruolo che può e deve svolgere l’agricoltura, la ricerca scientifica, la sperimentazione e la didattica. Vi sono segnali certi in questo senso nei nostri atenei? Non mi pare che la risposta possa essere positiva.