Ogni giorno, nel mondo, si produce cibo per 12 miliardi di
persone mentre ne siamo meno di 7 miliardi e settecento
milioni e l’offerta agricola tende a crescere.
Le eccedenze non sono redistribuite ma semplicemente
buttate; e mentre si assiste alla distruzione di risorse una
persona su 8 soffre la fame.
Non vi è quindi una questione legata alla produzione di cibo
ma di giustizia sociale.
L’Italia, che registra la più alta biodiversità del pianeta,
censisce anche intere regioni a desertificazione spinta
(Sicilia, Puglia) e ampi territori (Pianura Padana) che, a
causa dei sistemi agricoli intensivi, sono tra i più
inquinati d’Europa.
La capacità di reddito dei produttori agricoli è messa
seriamente in discussione dai bassi prezzi e da una
globalizzazione indifferente ai problemi che genera alle
persone, produttori e consumatori, e all’ambiente inteso
come ecosistema.
Per la sua scarsa crescita e il suo insufficiente peso nella
determinazione del PIL, l’agricoltura in Italia è sempre più
ritenuta fattore marginale dell’economia.
A questo si contrappone una crescita dell’agro-alimentare ma
più sul versante industriale che su quello della produzione
primaria. Molti, troppe infatti sono le materie importate
per essere poi trasformate e vendute come made in Italy.
Così olio, cereali, legumi, miele, carne, pesce
costituiscono alcuni dei prodotti agroalimentari importati.
Le conseguenze non sono solamente economiche ma anche
sull’ecosistema a partire dalla fertilità del suolo, si
pensi al ruolo delle leguminose, e al sostentamento della
nostra specie e di quelle degli animali, si pensi a tale
proposito al ruolo delle api.
Si pone quindi la necessità di connettere l’agricoltura
all’ambiente e le produzioni al sistema agro-industriale
delle trasformazioni con il preciso obiettivo di realizzare
una minore dipendenza dall’estero di prodotti trasformati.
Ciò significa sostenere le produzioni bio (a tutti i livelli
dalla ricerca alla sperimentazione, alla divulgazione e alla
formazione) che garantiscano la conservazione della
fertilità del suolo e la protezione e sviluppo dell’ape
italiana su modelli di successo come ad esempio quello
sloveno e nell’ambito di una multifunzionalità che veda la
promozione e lo sviluppo di cooperative sociali di
produzione e lavoro in cui i giovani non solo potranno
sviluppare il proprio progetto di lavoro ma anche di vita.
Si pensi alle fattorie didattiche, a quelle sociali, alle
scuole nel bosco, ecc. e alle professionalità richieste
(laureati in lettere, medici, psicologi, psichiatri,
educatori, cuochi, animatori, ecc.). Occorre quindi
rilanciare e potenziare le normative per l’acquisizione di
terre pubbliche (Stato, Regioni, Enti locali e usi civici),
di quelle confiscate alle mafie e ipotizzare norme di
promozione e sostegno per favore i privati, che per vari
motivi non sono più in grado di gestire le proprie terre, a
cedere a vario titolo tali beni a cooperative di giovani
disoccupati per progetti plurimi e attività integrate.
La canalizzazione dei prodotti di qualità potrà avvenire
innanzitutto verso la popolazione più fragile ed esposta
come bambini, anziani e ammalati, ovvero attraverso le mense
pubbliche, dalle scuole agli ospedali.
Vanno rivisti le modalità attraverso cui le varie proposte
provenienti dai privati non trovino più gli ostacoli
burocratici che ne rallentano creando enormi problemi e
spesso a rinunce.
Un progetto nazionale di forestazione anche produttiva dovrà
costituire, soprattutto per le regioni meridionali, infine,
il primo fronte di contrasto ai processi di
desertificazione.
Fin qui, forse, nulla di nuovo.
A monte di tutto ciò occorre però superare la causa
principale che ha determinato la crisi del sistema agricolo,
ovvero il prezzo unico delle materie prime.
I prodotti delle materie prime vanno pagate, anche a
prescindere dal bio, per quelle che effettivamente valgono.
La borsa merci per le materie prime va eliminata poiché
costituisce una contraddizione.
Se un prodotto è legato al territorio che esprime
peculiarità e caratteristiche sue proprie, la borsa merci
costituisce una contraddizione e un oggettivo svantaggio per
il sistema agricolo. Non si può pensare e credere che il
latte (che è diventato una commodity) prodotto in Alto Adige
possa valere quanto quello prodotto nella pianura padana, o
nelle aree interne del Sud. Il cibo non è tutto uguale.
Semmai il contrario. L’attuale sistema produttivo, tutto
rivolto alla quantità, sta uccidendo l’agroalimentare
italiano e non solo e scoraggiando quei produttori che
invece puntano a realizzare prodotti di grande qualità di
cui il Paese è ricco proprio per le sue caratteristiche
territoriali che hanno espresso culture e generato
l’agroalimentare più vario nel pianeta.
Sta in questo il vero cambiamento.